A Davos, sulla difensiva
La passerelle di Davos é sempre stata il simbolo e la celebrazione di un trentennio che è stato definito “post-ideologico”, ma che sarebbe meglio definire “post-mentale”. Un trentennio in cui si era diffusa la convinzione che, sconfitte le ideologie fossero morte anche le idee, e il governo del mondo potesse percio’ essere affidato ai soli “spiriti animali” del capitalismo. E si era d”altra parte difffusa a presunzione che il cervello potesse essere sostituito con i dollari fatti speculando sulle materie prime o sfruttando a sangue gli operai cinesi. Ma quest’anno lo spettacolo è risultato meno patetico di quanto non sia stato in tutti gli anni precedenti: perché questa volta si è visto un fenomeno piuttosto significativo. Si è visto che i 1600 businessmen, i quaranta capi di Stato e di Governo, e i 300 “esperti” o presunti tali, convenuti a Davos erano in una posizione insolita. Erano sulla difensiva.
Il vertice di Davos, quest’anno, si è concluso in tono minore. Chi si aspettava una ricetta per affrontare la crisi è rimasto deluso. E facendo ricorso a qualche reminiscenza letteraria, alcuni dei partecipanti si sono spinti fino a dire che, dalla montagna che Thomas Mann definì “incantata”, non è nato questa volta nessuna formuma magica, anzi non é nato neanche un topolino. Si è infatti potuto fare solo una specie di bilancio del disfacimento in atto senza riuscire ad indicare una via d’uscita, neanche ispirata a strategie messe in atto nel passato, in occasione di crisi molto diverse da quella attuale, che – per la prima volta – ha carattere veramente globale, investe cioè un mondo reso ormai economicamente e culturalmente “piatto”, a parte la sola, inquietante, e innominabile eccezione islamica.
Il fatto che da Davos non è uscito nessuno spunto interessante, però, non sembra, per la verità, essere una notizia. Davos é sempre stato un evento di nessuna rilevanza intellettuale. E in definitiva neanche di interesse politico, anche se molti ex_premier alla Tony Blair o alla Felipe Gozales vi si recavano puntualmente ad incontrare una folla di “finanzieri” in cerca di promozione sociale, una volta arricchitisi speculando sul petrolio o vendendo a famiglie americane sempre più cariche di debiti televisori fatti in Cina da operai sfruttati a sangue. E questi, a loro volta, cercavano di far credere che ingozzarsi di stock options rendeva anche intelligenti. Il che mostra comunque un qualche progresso della civiltà, dato che ancora un secolo gli arricchiti cercavano di procurarsi un titolo nobiliare ancora più ridicolo.
Le riunioni di Davos sono sempre state il simbolo e la celebrazione di un trentennio che è stato definito “post-ideologico”, ma che sarebbe meglio definire “post-mentale”. Un trentennio in cui si era diffusa la convinzione che il cervello potesse essere sostituito con la presidenza di una banca, esattamente come la dotazione e la potenza sessuale potessero essere sostituite con la lunghezza ed i cavalli della “barca” (o, livello più cheap, con la dimensione e i cilindri del SUV).
Finito nella bancarotta americana questo trentennio, non può sorprendere che, in questo aurorale 2009, la riunione sulla “montagna incantata” di Thomas Mann sia stata ancora più pataetica del solito.
La passerella di Davos ha però offero quest’anno qualcosa di meglio di tutti gli anni precedenti: perché questa volta si è visto un fenomeno piuttosto significativo. Si è visto che i 1600 businessmen, i quaranta capi di Stato e di Governo, e i 300 “esperti” o presunti tali hanno erano in una posizione insolita: erano infatti sulla difensiva.
Secondo “Le Monde”, la sostanza dei dibattiti sarebbe sintetizzata nelle parole di Vladimir Putin: “Stiamo attraversando una crisi perfetta”, come quando “le forze della natura convergono in un punto dell’oceano e combinano il loro potenziale distruttivo”. E’ una semplificazione giornalistica assai difficile da condividere.
Ma quale formula choc ! Da parte di Putin, si tratta solo di uno slogan, tratto peraltro dal titolo di un film piuttosto mediocre. Ma si tratta soprattutto di uno slogan che tende a coprire le responsabilità evidenti della casta di affaristi e lobbysti a cui egli stava parlando. E serviva per cercare di giustificare l’impotenza di molti governi ad intervenire per correggere la situazione. O meglio della loro mancanza di volontà di farlo, perché dietro allo stato quo, cioè all’insieme di comportamenti e interessi che hanno portato alla crisi attuale, ci sono forze socio-economiche che essi non vogliono sfidare.
In questo senso la frase di Putin riassume la posizione difensiva della elite internazionale del danaro che, proprio per il fatto di portare la responsabilità di quanto accade, tenta di attibuirla invece alle “forze della natura”, in modo da allontanare da sé l’attenzione e la rabbia del’opinione pubblica.
Su una linea altrettanto difensiva, ma peggio presentata, è apparso, a Davos, il Presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, che ha spiegato la crisi come il risultato della congiunzione di tre fenomeni: la classica conclusione di un ciclo quinquennale di eccezionale crescita dell’economia mondiale; l’effetto depressivo dei prezzi “stravaganti” delle materie prime, in particolare di quelle energetiche e, infine una crisi finanziaria che ha considerevolmente aggravato la situazione e spezzato ogni fiducia nel sistema economico mondiale la confiance mondiale. Insomma, anche per Trichet si tratterebbe di una “tempesta perfetta” scatenata da fenomeni più o meno naturali.
E’ una spiegazione veramente riduttiva, addirittura minimalista, che riprende il concetto di Putin : un incrociarsi di tre fenomeni “naturali” che sarebbero fuori dal controllo dei governi. Soprattutto, una spiegazione che mostra un Trichet un po’ preoccupato di essere ben presto accusato di non aver saputo prevedere e gestire gli avvenimenti. Insomma di finire la sua brillante carriera facendo da capro espiatorio, come Alan Greenspan, tanto onorato ed elogiato finché é stato in carica, ha malinconicamente visto finire la propria.
Come sei il “ciclo quinquennale di eccezionale crescita” non fosse stato anche il risultato di una “generosità” della Federal Reserve che molti attribuiscono ad una scelta politica a favore di Bush e della sua politicha di costose guerre all’estero e di sgravi agli alti redditi all’interno. E come se la crisi finanziaria successiva fossespuntata chissà da dove, e non fosse riconducibile a precise responsabilità degli ambienti finanziari, nel quadro di scelte di lungo periodo relative alla collocazione dell’America nella divisione internazionale del lavoro, di cui non si é voluto vedere che si erano ben presto rivelate insostenibili.
E poi, accusare i prezzi “stravaganti” del petrolio e delle materie prime non è che una piccola, furbesca correzione ex post alla diagnosi che gli stessi soggetti ci servivano appena qualche settimana fa, e che attribuiva al “peak oil” e ad altre formule magiche del genere, l’imballamento dell’economia. Quando il prezzo del petrolio è crollato, senza che ciò modificasse in nulla il trend generale dell’economia mondiale, si è avuta una clamorosa smentita di questa peudo spiegazione, che dava agli Arabi, a Chavez e simili la colpa di tutto.
E che tra l’altro erano all’origine dei tentativi di mascherare – e in definitiva di giustificare – l’attacco all’Irak con formule come “blood for oil”, oppure “kick their ass, and get their gas”, che in Italiano si traduce “diamogli un calcio in culo e prendiamogli la benzina”. Formule, si noti, che erano prese per buone e verosimili anche dalla sparuta opposizione a quella guerra – la prima – e dai ragazzi spediti ad ammazzare a farsi e ammazzare nel deserto – la seconda, più rude, esplicita e militaresca.
Chi ha sostenuto queste rozze spiegazioni, può pure cercare adesso di nascondersi dietro un dito, sostituendo la parola “stravaganti” alla parola “altissimi” (quasi a suggerire che erano le oscillazioni, e non il livello dei prezzi la causa di tutto). Ma chi vuole veramente capire cosa succede deve prendere atto che non era il petrolio ad essere all’origine della “bolla globale”, e che quelli che controllano i deserti e le giungle in cui lo si estrae non erano erano parte del cosiddetto “Asse del mazle”, ma solo dei “miracolati”, dei percettori di rendita su cui erano piovuti i “windfall profits”, e dell’esportazione ad una porzione infinitesimale della popolazione mondiale del sogno americano, nella sua versione impazzita, di andare in un giorno “from rags to riches”.
Insomma, chi vuole capire, non puo’ contentarsi delle acrobazie verbali che Putin e Trichet hanno considerato sufficienti per gli “oligarchi” mal ripuliti – dell’Est e dell’Ovest – raccolti a Davos. Deve cercare un’altra e diversa spiegazione. Ma di questo parleremo in un’altra occasione.
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