DE GASPERI E L’ALLEANZA CON I LAICI


DE GASPERI E L’ALLEANZA CON I LAICI


GIUSEPPE SACCO



Il successo elettorale DC de 18 aprile 1948 era stato dovuto soprattutto alle masse popolari. Nella burocrazia, e nel mondo dell’industria e della finanza, il potere apparteneva ancora al ceto medio laico. L'alleanza con Repubblicani e Socialdemocratici rese la DC più autonoma dalle organizzazioni vicine alla Chiesa.

imageLa  freddissima accoglienza ricevuta alla Conferenza della pace, a Parigi, il 10 agosto del 1946, dove l’unico rappresentante di uno Stato che gli aveva espresso un segno di solidarietà era stato quello del Vaticano, aveva  chiaramente confermato a De Gasperi quali fossero le sfide cui egli, e il suo Paese, si trovavano di fronte. E ne aveva indicata tutta la gravità: in primo luogo quella della credibilità politica del suo governo, e poi – molto più seria e complessa – la sfida dell’accettazione dell’Italia stessa nel consesso delle Nazioni pienamente sovrane.

Nei mesi successivi, con l’aggravarsi della tensione internazionale tra i due blocchi in cui era stata divisa l’Europa, era diventato – per quel che riguardava il primo problema – indispensabile un immediato chiarimento dell’anomala situazione dell’Italia, dove tutti partiti antifascisti, compresi i comunisti, partecipavano alla coalizione di governo. E questo chiarimento ebbe luogo il 31 gennaio del 1947 quando, nonostante la contrarietà del Presidente provvisorio della Repubblica, Enrico de Nicola, e di una parte politicamente assai rilevante della stessa DC, De Gasperi escluse i ministri comunisti e socialisti dalla compagine di governo, e formò una maggioranza che non comprendeva più i loro partiti. Presenti, e in posizione di rilievo, rimasero invece i cosiddetti “partiti laici”

Accettazione internazionale, tensioni interne

Inevitabilmente, questa ufficializzazione del fatto che, come stabilito a Yalta, l’Italia facesse parte del blocco a guida americana, rese più acute all’interno società italiana, le già fortissime tensioni sociali, in particolare relativamente alle prospettive della riforma agraria. E queste culminarono in quello stesso 1947 con la strage di Portella della ginestra, dove una banda mafiosa massacrò un gruppo di contadini – uomini, donne e bambini – che festeggiavano il 1 maggio: un chiaro messaggio inviato dai latifondisti siciliani di smentita alle speranze e alle promesse da qualche modernizzazione dell’ordine sociale in una assai arretrata, ma nondimeno importante, regione del paese.

Ne seguì una crisi politica da cui, dopo il fallimento di un tentativo di governo Nitti, emerse il quarto governo De Gasperi, sostenuto da una frastagliata coalizione composta dalla Democrazia Cristiana, e dai partiti repubblicano, liberale e socialdemocratico, più alcune formazioni minori nelle quali facevano spicco la sinistra liberale e personalità come Ugo La Malfa. Una coalizione che venne poi – per una precisa scelta di De Gasperi – confermata nonostante il fatto che, alle successive elezioni del 18 aprile 1948, la Democrazia Cristiana avesse conquistato in entrambi i rami del Parlamento maggioranze tali che le avrebbero consentito di governare da sola. E fu una scelta cruciale, che De Gasperi vide come un’occasione di dare una ulteriore risposta a quella che restava ancora la più grande sfida che allora gli si ponesse, quella dell’accettazione dell’Italia, pur uscita debellata  dalla seconda guerra mondiale, come un soggetto sociale e politico stabilmente analogo agli altri attori della politica internazionale.

Un governo completamente democristiano – De Gasperi ne era perfettamente consapevole –  non sarebbe bastato a questo fine. È infatti difficile oggi immaginare quanto poco credito avrebbe avuto, ancora all’indomani della Seconda guerra mondiale, l’esistenza di uno stato italiano guidato da un partito specificamente cattolico. Per molti britannici, come è noto, i Cattolici erano dei “papisti”, politicamente diversi dai partiti politici espressi nel quadro degli stati nazionali. E, negli Stati Uniti, l’idea che un cattolico potesse essere eletto alla Casa Bianca sembrava ancora utopia.  Bisognerà attendere altri quarant’anni persino perché tra Washington e la Santa sede venissero stabilite relazioni di tipo diplomatico.

In questo quadro, il rapporto che De Gasperi ha voluto coerentemente mantenere con i cosiddetti “partiti laici” era quindi determinato soprattutto dalla consapevolezza che questi erano considerati dal nuovo establishment postbellico dell’Occidente come appartenenti alla stessa famiglia politica delle forze alla guida delle potenze vincitrici.

La sua carta preferita per tornare ad essere un paese “normale” fu perciò Carlo Sforza, che era stato Ministro degli Esteri già nell’Italia prefascista. E in ciò fu facilitato dal fatto che al potere, a Londra, dopo il 26 Luglio 1945, c’erano i Laburisti, e non più Churchill, che non amava Sforza, perché Repubblicano. Il vecchio conservatore seguiva infatti la tradizione diplomatica inglese di difendere sempre il principio monarchico, opponendosi al continuo declino del numero dei Regni.  De Gasperi dapprima cercò infatti di far eleggere Sforza alla Presidenza della neonata Repubblica Italiana. Poi, dopo che il suo disegno si era ancora una volta scontrato con una parte, quella “dossettiana”, del suo stesso partito, ne fece per ben cinque anni, il Ministro degli esteri del suo governo.

Il rapporto con le classi medie

C’era però un’altra ed importante ragione per cui, nel 1948, dopo la conquista la maggioranza assoluta alla Camera ed una forte posizione maggioritaria al Senato la democrazia cristiana a guida De Gasperi mantenne una ininterrotta collaborazione con i partiti laici. E questa era relativa alla situazione politica interna, e strettamente correlata alla diversa composizione sociale del voto delle due parti, quella cattolica e quella “laica”

Il grande successo elettorale democristiano de 18 aprile 1948 era infatti stato dovuto soprattutto al voto delle masse popolari, e in proporzione molto minore al sostegno delle classi medie. Politicamente, infatti queste erano rimaste sostanzialmente su posizioni non molto diverse a quelle tenute durante il periodo fascista, cioè di consenso ad un regime rigidamente conservatore, e che aveva impedito qualsiasi cambiamento strutturale della società italiana. Ai loro occhi, quanto auspicato dal partito popolare appariva solo poco meno pericoloso di quanto proposto dai partiti di sinistra, e contrario all’assetto di classe che si era costituito nel paese dopo la prima guerra mondiale.

Se gli sviluppi che si avranno negli anni successivi alla vittoria del 1948 finiranno per rassicurare il ceto medio, restava il fatto che questa classe non aveva mai nel passato costituito la base politica del mondo cattolico. Nella burocrazia, e ancor più nel mondo dell’industria e della finanza, il potere apparteneva ancora alla cultura laica e costituiva un baluardo politico di una parte della società sostanzialmente estranea alla base organica della DC e che non è mai stato strutturalmente legata ad essa.

Solo negli anni successivi le fu possibile creare – o sviluppare quando pre-esistenti –  alcune specifiche strutture ti tipo sindacale che la legarono al paese, e che inquadrarono in  maniera permanente una parte significativa del suo naturale elettorato, la Coldiretti e la Confcommercio – entrambe create nel 1944 – , le cooperative bianche e infine la Cisl, che vide la luce nel 1950.

A termine, ciò tendeva in modo naturale a dare significato concreto alla formula del “partito di centro che muove verso sinistra”, ed anche a rendere il partito cattolico più autonomo ed indipendente rispetto ad organizzazioni, come i Comitati Civici ed altre strutture vicine alla Chiesa o dipendenti al Vaticano, alle quali la DC si era dovuta pesantemente appoggiare nel periodo appena seguente la fine della guerra. Ma l’acquisizione di questa più netta identità socio-politica da parte della DC rendeva progressivamente necessario un chiarimento della propria collocazione, anche da parte dei partiti ad essa alleati.
 
Il problema con i “laici”
 
A breve termine, infatti, la scelta più naturale e praticabile per legittimare i governi a guida De Gasperi sia sotto il profilo internazionale che sotto quello sociale era quella dell’alleanza con i partiti laici. Ma anch’essi erano in una fase evolutiva,  in particolare quello più legato al ceto medio, il partito liberale, che non solo aveva una frontiera mal definita con i Qualunquisti e, nel Sud, con i monarchici, ed era scosso da continue oscillazioni nei suoi equilibri interni.

Nobilitato, sin dall’immediato post-fascismo, dal riformismo di Croce, il PLI si spostò nel biennio 1947-48 su posizioni conservatrici, per poi tornare sulla linea di centro laico, il che non bastò tuttavia ad impedire che, a partire dal 1948, la maggioranza dei liberali si collocasse sempre più a destra, mentre la componente di sinistra prendeva una via autonoma che alla fine  la porterà a dare vita al Partito Radicale, e ad una forte contrapposizione non solo con la DC,  ma con la stessa visione cattolica della società.

Opposta invece l’evoluzione degli altri due partiti, quello Repubblicano e quello Socialdemocratico, che già alla fine della legislatura apertasi col trionfo elettorale democristiano del 1948 apparivano fortemente impegnati alla prospettiva di un governo di centro sinistra, cui partecipasse il più quantitativamente significativo dei partiti laici, quello socialista. E che, a partire dall’estate del 1953, apriranno così un nuovo capitolo – quello post-degasperiano – economicamente molto più dinamico, ma politicamente molto più complesso, nella storia della Repubblica Italiana.

Giuseppe Sacco

 

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